La vista del paese di Pitigliano dalla curva di Madonna delle Grazie, lungo la strada 74 “Maremmana”, è di quelle che tolgono il fiato. Ancora di più dopo il tramonto quando le luci accendono il marrone del tufo di sfumature dorate. Quello che si presenta allo sguardo è uno dei borghi più belli d’Italia arroccato sopra un’imponente rupe tufacea a picco sui torrenti Lente, Meleta e Prochio, che forma un tutt’uno con le case. Sulle pareti si aprono interminabili file di colombari e, nei punti più accessibili, le cantine scavate nella roccia e ancora in uso. Intorno la natura incontaminata che si fonde con l’opera dell’uomo, il verde dei boschi e le colline ricoperte di viti.
A pochi chilometri dal confine con il Lazio, è una parte di Maremma che non si sente tale, anche nella differente sfumatura del dialetto che allunga verso il viterbese, ma sopratutto per la storia millenaria di Pitigliano, conosciuto anche come “La Piccola Gerusalemme” perché qui, dal XVI secolo, trovò rifugio una grande comunità ebraica che costruì anche la sua sinagoga. Il dolce tipico di Pitigliano, lo sfratto, presidio Slow Food, riproduce un piccolo bastone, quello con cui nel 1600 venivano colpite le porte degli ebrei come segnale che dovevano lasciare le proprie case – lo sfratto appunto – e andare nel ghetto, su decisione di Cosimo II de Medici. Il ghetto di Pitigliano è ancora oggi uno dei punti più suggestivi del paese.
Il resto è uno scrigno di arte, cultura, storia, fascino, il racconto di un passato che vive in ogni angolo di questo paese, dominato dall’imponente Palazzo Orsini e chiuso dalla parte opposta dall’acquedotto mediceo, interamente costruito in tufo, visibile per chi arriva da Madonna delle Grazie. Una curiosità: dal 1995 al 1997, anno della sua morte, Pitigliano ebbe come sindaco Alberto Manzi, il “maestro d’Italia” che con il suo programma “Non è mai troppo tardi”, messo in onda dalla Rai negli anni Sessanta, contribuì all’alfabetizzazione di un milione e mezzo di italiani.